Lascia un commento

I 4 fattori di movimento: Rudolf von Laban

Laban, Rudolf, L’arte del movimento, a cura di Eugenia Casini Ropa e Silvia Salvagno. Ephemeria, Macerata, 1999 (ed. or. The Mastery of Movement on the Stage, London, Macdonald & Evans Ldt, 1950).

Per i contenuti fotografici si ringrazia la BBF:
Bibliothek für Bildungsgeschichtliche Forschung (BBF) des Deutschen Instituts für Internationale Pädagogische Forschung (DIPF)

Research Library for the History of Education at the German Institute for International Educational Research

Warschauer Str. 34 – 38 
10243 Berlin 
Germany

Rudolf-von-Laban_fattori-di-movimento_Maria-Fux_danzaterapia  

“Il lettore avrà forse sentito parlare di quella famosa storia cinese che narra di un millepiedi, ridotto all’immobilità e morto di fame, perché gli era stato ordinato di muoversi sempre prima con la settantottesima zampa e poi con le altre, seguendo un ordine prestabilito. Questa storiella è spesso citata per mettere in guardia dal presuntuoso tentativo di dare una spiegazione razionale del movimento. Ma, naturalmente, quel povero insetto fu vittima di regole puramente meccaniche, e questo ha poco a che fare con il libero fluire dell’arte del movimento”

Milano_danzaterapia_Laban_Maria-Fux I 4  fattori di movimento: Spazio (S): direzione e livelli dei passi e dei gesti; cambio di fronte; estensione dei passi e dei gesti; forma dei gesti. Tempo (T): rapido e lento nei gesti e nei passi; ripetizione di un ritmo; tempo di un ritmo. Peso (P): tensione forte o debole; posizione degli accenti; fraseggio risultante da periodi accentati e non accentati. Flusso (F): scorrevole; interrotto; arrestato.

Icosaedro

Icosaedro

E’ un fatto meccanico che il peso del corpo, o di ogni sua singola parte, possa essere sollevato e trasportato in una determinata direzione dello spazio, e che questo processo richieda un certo lasso di tempo, in rapporto alla velocità. Le stesse condizioni meccaniche possono essere osservate in ogni controspinta che regola il flusso del movimento. laban-spring_danzaterapia_metodo-Maria-Fux_Milano_Italia Il fluire è il normale svolgersi del movimento, come quello di una corrente fluida, e può essere più o meno controllato.

Mary Wigman danzaterapia

Mary Wigman danzaterapia

Spazio, tempo, peso e flusso sono i fattori di movimento attraverso i quali la persona che si muove adotta un particolare atteggiamento, che, a seconda dei casi si può descrivere come: un atteggiamento flessibile e lineare nei confronti dello spazio; un atteggiamento di prolungazione o di abbreviazione nei confronti del tempo; un atteggiamento rilassato o energico nei confronti del peso; un atteggiamento di liberazione o di contenimento nei confronti del flusso.

SPAZIO diretto
flessibile
TEMPO subitaneo
sostenuto
PESO forte
leggero
FLUSSO controllato
libero

Il fattore di movimento spazio può essere associato alla facoltà umana di partecipare con attenzione. In questo caso, la tendenza predominante è quella ad orientarsi e a trovare una relazione con la materia d’interesse o in un modo subitaneo e diretto o in uno circospetto e flessibile. danzaterapia-metodo-Maria-Fux_LabanIl fattore di movimento tempo può essere associato alla facoltà umana di partecipare con decisione. Le decisioni possono essere prese inaspettatamente e all’improvviso, lasciando andare una cosa e rimpiazzandola con un’altra in un preciso momento, oppure possono svilupparsi gradualmente, mantenendo una delle condizioni precedenti per un certo periodo di tempo. Danzaterapia-metodo-Maria-Fux_Milano_Laban_-i-quattro-fattori-di-movimento Il fattore di movimento peso può essere associato alla facoltà umana di partecipare con intenzione. Il desiderio di fare una determinata cosa può far presa in una persona talvolta con forza e fermezza, talaltra delicatamente e con leggerezza. wigman_-laban_danzaterapia-metodo-Maria-Fux Il fattore di movimento flusso può essere associato alla facoltà umana di partecipazione con precisione o, detto altrimenti, progressione. Si tratta della capacità di accordarsi al processo di realizzazione, cioè di relazionarsi all’azione. Si può controllare e vincolare il flusso naturale di questo processo o lasciare che scorra libero e senza ostacoli.

Laban_danza-moderna

Limitazioni nell’uso dei fattori di movimento

Il primo passo per comprendere queste fluttuazioni consisterà nell’analizzare gli atteggiamenti generali osservabili nel movimento, che abbiamo chiamato “assecondare” o “lottare contro” singoli fattori di movimento all’interno di uno sforzo. Questi atteggiamenti possono essere interpretati come una tendenza verso uno o entrambi i gradi estremi di ciascun fattore di movimento di cui il corpo umano è capace. Le funzioni orientative dei nervi così come le funzioni-carrucola dei muscoli e le funzioni-leva delle ossa dello scheletro hanno limiti di capacità in entrambe le direzioni, tra il più sottile accordo e la più potente resistenza ai fattori di movimento.

laban_danzaterapia-metodo-Maria-Fux_Milano

Questo può essere facilmente compreso se lo si applica al peso. Un peso che va oltre la nostra capacità non può essere sollevato e, se eccessivo, potrebbe nuocere al corpo. La finezza del toccare è anch’essa limitata, perché l’uomo non può maneggiare cose infinitamente piccole per volume e peso.

LABAN_danzaterapia-metodo-Maria-Fux_Milano_danza-creativa

E’ anche evidente che la velocità del movimento umano è estremamente limitata se paragonata a quella, diciamo, del suono o della luce. E non siamo neppure in grado di sostenere un movimento per tutto il tempo, ad esempio, che impiega il nostro corpo a crescere.

Laban_danzaterapia-metodo-Maria-Fux

Più difficile da capire risulta la limitazione di movimento riguardante le sue capacità di occupare lo spazio. Con la massima flessibilità, noi riempiamo soltanto una parte molto limitata di uno spazio sferico, e ciò che chiamiamo movimento diretto non è mai così diritto come, ad esempio, una corda tesa o un raggio di luce.

Mary-Wigman_flusso_allegro-con-brio_danzaterapia-metodo-Maria-Fux

Mary-Wigman_valzer_danzaterapia-metodo-Maria-Fux_Laban

Così, anche nel caso del flusso, bisogna dire che il movimento più libero che possiamo produrre è in realtà ancora leggermente controllato, perché alla fine può essere arrestato. Un flusso realmente controllato è vicino all’arresto assoluto, ma un arresto assoluto non esiste nel corpo di un essere vivente, finchè il cuore batte e i polmoni respirano.

laban_danzaterapia_danza_Maria-Fux_Milano

Le limitazioni nell’uso dei fattori di movimento non ci impediscono, comunque, di tentare di raggiungere la massima velocità, la massima forza, il massimo controllo e la massima precisione direzionale dei nostri movimenti e, implicitamente, tutti i loro contrari. Questa tendenza caratterizza l’atteggiamento che abbiamo chiamato precedentemente “assecondare o lottare contro” un fattore di movimento.

Laban_danzaterapia-metodo-Maria-Fux_Milano_danza-moderna_espressività-corporea

Testi tratti dal libro “L’arte del movimento” di Rudolf von Laban

Lascia un commento

L’ingenuità del corpo

Gerard_de_Lairesse_-_Planche_d'anatomie_danzaterapia
“Se è vero che io ho coscienza del mio corpo attraverso il mondo, se è vero che esso è, al centro del mondo, il termine inosservato verso il quale tutti gli oggetti volgono la loro faccia, è anche vero, per la stessa ragione, che il mio corpo è il perno del mondo, e in questo senso ho coscienza del mondo attraverso il mio corpo”.

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (1945)

Il filosofo italiano Umberto Galimberti soffermandosi sul concetto di ‘ingenuità’ del corpo ricorda come per i latini ‘ingenuus’ fosse una parola dotata del significato di ‘nativo’, ‘originario’, ‘libero’.
Se questo è il senso della parola – sostiene – soffermarsi sulla ingenuità del corpo significa incontralo nella sua condizione originaria, affrancato dalla equivalenza in cui si esprime ogni codice con l’ordine delle sue iscrizioni; significa restituirlo alla sua forma nativa, alla sua natura, con la avvertenza husserliana per la quale questa natura non è la natura nel senso delle scienze, bensì ciò che per gli antichi greci valeva come natura, quella che si apriva di fronte ai loro occhi, la realtà naturale nella dimensione del mondo-della-vita.
Educati come siamo dalla metafisica della ragione disgiuntiva invece che dall’ambivalenza del mondo-della-vita, sappiamo che trattare ‘ingenuamente’ il corpo porta con sé il rischio della ‘ingenuità’ nel senso abituale e deteriore del termine.
Ma qui il deterioramento della parola è il sintomo di una perdita, la perdita di una primitiva innocenza che lo sviluppo della ragione, ruotando su sé stessa nel più iperbolico dei circoli viziosi, finisce col tradire, smascherando il vuoto che la sottende, per aver obliato il mondo-della-vita.
Questo mondo, prima di ospitare formule e idee, ospita corpi e cose, in quelle relazioni naturali che solo l’astrattezza del pensiero puro, nella solitudine del suo isolamento, può giudicare meno reali delle sue costruzioni.

Das Leben des Menschen_danzaterapia_Milano

Lascia un commento

Dance, dance, otherwise we are lost

Maria Fux
Lectio magistralis di Pina Bausch, pronunciata a Bologna il 25 novembre 1999 in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Discipline dello Spettacolo.

“Dance, dance, otherwise we are lost”
Signore e signori, vorrei cominciare con una storia. Una volta, in Grecia, sono andata a visitare alcune famiglie di zingari. Ci siamo seduti insieme e abbiamo parlato; a un certo punto tutti hanno cominciato a ballare e io dovevo partecipare. Avevo una gran paura e la sensazione di non essere in grado. Allora è venuta da me una ragazzina, forse sui dodici anni, e mi ha pregato ripetutamente di danzare assieme a loro. Diceva: “Dance, dance, otherwise we are lost”. Balla, balla, altrimenti siamo perduti.
Ancora un’altra bellissima storia. Un uomo anziano a Wuppertal mi ha raccontato di sua madre centenaria, al suo paese in Turchia, che gli ha sempre detto: “Nicht weinen, singen”. Non piangere, canta.
Danzaterapia metodo Marìa Fux
Danzare deve avere un fondamento diverso dalla pura tecnica e dalla routine. La tecnica è importante, ma è solo un presupposto. Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che fare. A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. Non per dimostrare che i danzatori sanno fare qualcosa che uno spettatore non sa fare. Si deve trovare un linguaggio – con parole, con immagini, movimenti, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre. È una conoscenza molto precisa. I nostri sentimenti, quelli di tutti noi, sono molto precisi. È però un processo molto, molto difficile da rendere visibile. Io so bene che si tratta di qualcosa con cui si deve essere molto cauti. Se si traduce troppo in fretta in parole, può scomparire o diventare banale. Ma ciò nonostante si tratta di una conoscenza molto precisa, che possediamo tutti, e la danza, la musica ecc. sono linguaggi molto esatti, con cui è possibile fare intuire questa conoscenza. Non si tratta di arte, e neanche di una semplice capacità. Si tratta della vita, e dunque di trovare un linguaggio per la vita. E si tratta sempre, lo ripeto, di qualcosa che non è ancora arte, ma che forse potrebbe diventarlo.

Getty Image Photography

Fin dall’infanzia la danza è stata per me un mezzo di espressione molto importante. Con la danza potevo esprimere tutte quelle emozioni che non sapevo dire a parole. Sono talmente tanti i differenti stati d’animo, tante le sfumature e le tonalità che si possono esprimere attraverso la danza. Ed è questo ciò che conta: si deve conservare la ricchezza, non limitarla, si devono rendere visibili e percepibili tutte le diverse sfumature.

Walter Vogel Photography

Più tardi, durante la mia formazione alla Folkwangschule di Essen ho imparato anche a conoscere i miei limiti. Con ciò non intendo i limiti dell’anima, che è illimitata, ma i limiti della forma, del proprio corpo. La caratteristica meravigliosa della Folkwangschule era che sotto lo stesso tetto venivano insegnate sia le arti sceniche sia le arti figurative. Quindi la musica, l’opera, il teatro, la danza accanto alla pittura, la scultura, la fotografia, la grafica, il disegno tessile ecc. era più che ovvio che tutto si alimentasse reciprocamente, che si ricevesse e si imparasse un po’ da tutto. Da allora, per esempio, non sono più in grado di vedere niente senza metterlo in relazione con lo spazio. Questo modo di vedere spaziale è una componente importantissima del mio lavoro. Al di là della qualità straordinaria di insegnanti come Hans Züllig o Jean Cébron, la formazione, grazie alla concezione visionaria e alla direzione di Kurt Jooss, era unica per pluralità e complessità. La formazione dei danzatori includeva la danza classica, stili diversi di danza contemporanea, parti del folklore europeo, composizione ecc.

Più tardi, a New York, al termine della mia formazione, ho di nuovo incontrato questa molteplicità, una molteplicità della vita. Vivere da sola e lavorare in una città di quel genere, dove ci sono tante persone diverse con mentalità differenti, ha provocato in me un’impressione molto profonda e importante. Si impara che nulla può essere separato. Che tutto coesiste contemporaneamente e che tutto è importante e vale allo stesso modo. Che si deve avere un grande rispetto per tutti i diversi modi di vivere e di vedere la vita. Anche questo è un aspetto importante del nostro lavoro. Come compagnia siamo un gruppo misto e variegato di persone: i danzatori vengono da ogni parte del mondo, da culture molto diverse tra loro. Ormai è diventata un grande reticolo, una gigantesca famiglia, con collegamenti dovunque, in tutte le culture. Il nostro lavoro non è vincolato da alcun confine, ma li attraversa tutti. È come le nuvole, come il sole, come la musica. Se io fossi un uccello, sarei forse un uccello tedesco?

Allora, dopo il mio periodo a New York, quando ritornai in Germania, in realtà volevo danzare. Siccome però non c’erano praticamente coreografie, ho cominciato a crearle io. Questo avvenne anche in seguito, quando il sovrintendente Arno Wüstenhöfer mi portò a Wuppertal. In principio volevo danzare io. Ma c’erano tutti i vari danzatori che desideravano ballare e per farli felici ho creato pezzi per loro e ho messo da parte il mio personale desiderio di danzare. All’inizio abbiamo lavorato con opere musicali che offrono già una certa indicazione. Ho scelto solamente quei lavori che mi lasciavano una qualche libertà di inserirvi qualcosa di mio. Ad esempio Gluck mi ha lasciato, con Ifigena e con Orfeo e Euridice, moltissimo spazio per intervenire nell’opera facendovi confluire qualcosa di assolutamente personale, che sentivo di dover esprimere. In queste opere ho trovato esattamente quello di cui dovevo parlare. Da ciò è nata poi una nuova forma: l’opera danzata. In un’altra direzione ho poi cercato contenuti particolari e altre forme. Ne è stato un esempio il lavoro che in seguito si è chiamato Fritz. Più tardi, quando abbiamo creato Macbeth per il teatro Bochum, è nato il modo di lavorare attraverso le domande.

Semplicemente perché in quel pezzo c’erano degli attori, dei danzatori, una cantante e un pasticcere. Non potevo pretendere dagli attori una sequenza di movimenti, perciò dovevo cominciare da un altro punto di partenza. Quindi ho posto loro le stesse domande che rivolgevo a me stessa. Le domande servono per avvicinarsi in modo molto cauto alla tematica. È un procedimento di lavoro molto aperto e nello stesso tempo però anche molto preciso. Perché io so sempre esattamente ciò che cerco, ma lo so con la mia sensibilità e non con la testa. Perciò non si può mai domandare in modo troppo diretto. Sarebbe troppo grossolano e le risposte sarebbero troppo banali. Io so cosa cerco ma non posso spiegarlo. Ciò che cerco non va disturbato con le parole ma va portato alla luce con tanta pazienza. Le cose più belle sono nella maggior parte dei casi completamente nascoste. Vanno prese, curate e fatte crescere pian piano. Per procedere in questo modo ci vuole una grande fiducia reciproca. Perché ci sono sempre da superare delle soglie d’imbarazzo. Per questa ragione a me piace lavorare con danzatori che hanno una certa timidezza, un certo pudore, che non si svelano facilmente. È molto importante che esista questo pudore, questa esitazione, quando si arriva a un certo limite nel lavoro. Chi semplicemente si esibisce, è fuori posto. Il pudore garantisce che se, per esempio, qualcuno mostra qualcosa di molto piccolo, questo sia davvero qualcosa di speciale e che venga visto anche come tale. Proprio qui sta la difficoltà: indurre qualcuno, per così dire, a trovarlo.

Permettetemi di dire qualche cosa sulle persone straordinarie con le quali lavoro.
Io non assumo infatti in primo luogo il danzatore, a me interessa soprattutto la sua personalità, ciò che di irripetibile e di singolare c’è in lui. Negli spettacoli ognuno è totalmente se stesso: nessuno deve recitare. Durante il lavoro, cerco di condurre ciascuno a trovare da sé quel che cerco. Solo allora egli risulta convincente, perché è autentico. Solo in questo modo posso essere certa che ognuno abbia cura ciò che ha trovato e sia in grado di mostrarlo. Ogni dettaglio è importante, qualsiasi cambiamento, perché ogni spostamento causa un effetto diverso. Tutto ciò che troviamo durante le prove viene accuratamente esaminato e messo alla prova, per capire se resiste anche nelle condizioni più difficili. Non accetto nulla cui io non possa credere, che non mi convinca. Dopo tante domande, alla fine rimangono solo pochissime cose che poi vanno a costituire lo spettacolo. Tutto viene continuamente rivoltato e ripensato. Ogni dettaglio subisce una grande quantità di mutamenti, finché alla fine trova il posto giusto. Occorre ogni volta molto tempo, prima che qualcosa cominci a scorrere. Se non si presta attenzione anche alla più minuta piccolezza, il lavoro va in una direzione sbagliata ed è molto difficile correggerlo. Perciò ci vuole una enorme precisione e onestà in questo lavoro e tanto coraggio. Mostriamo qualcosa di personale, che però non è privato. Si mostra qualcosa di ciò che tutti condividiamo. Per trovarlo è richiesta molta pazienza e la disponibilità a ricominciare a cercare ogni volta da capo. Vorrei provare a chiarire un fraintendimento che sorge spesso.

Anche se si dice che il Tanztheater è una forma completamente nuova, io non ho mai avuto l’intenzione di creare uno stile specifico o un nuovo teatro. La forma è nata da sé, dalle domande che io mi ponevo. Nel mio lavoro ho sempre cercato qualcosa che ancora non conosco. È una ricerca continua e persino dolorosa, una lotta. Ricercando non c’è nulla su cui ci si possa basare: nessuna tradizione, nessuna routine. Non esiste nulla a cui ci si possa aggrappare. Si sta completamente soli di fronte alla vita e alle esperienze che si fanno e si deve cercare di rendere visibile o almeno intuibile ciò che si sa da sempre. Questo è ciò che ogni artista ricomincia a fare in ogni periodo storico. E non è nemmeno d’aiuto l’aver già fatto tanti spettacoli. Con ogni spettacolo questa ricerca ricomincia da capo e ogni volta ho paura di non poterci riuscire. I modi nel Tanztheater derivano da una precisa necessità e anche da un bisogno: trovare un linguaggio per ciò che non può essere espresso in altra maniera.


La stessa cosa vale per la scenografia. Terra, acqua, foglie o sassi in scena creano un’esperienza sensoriale del tutto particolare. Modificano i movimenti, disegnano tracce dei movimenti, producono determinati odori. La terra si attacca alla pelle, l’acqua penetra nei vestiti, li rende pesanti e produce dei rumori. I mattoni di un muro abbattuto rendono il camminare difficile e insicuro. Se si porta all’interno di un teatro qualcosa che normalmente sta al di fuori, ci si apre lo sguardo. Improvvisamente si vedono cose che si credeva di conoscere in modo del tutto nuovo – come se fosse la prima volta. I molti materiali che usiamo sono cose naturali, che normalmente non hanno a che fare con quel luogo. Esse ci irritano e ci invitano a guardare in modo completamente diverso.

Impegnano i nostri sensi e ci portano a non pensare più e a cominciare invece a percepire, a sentire. I danzatori non indossano calzamaglie o costumi stilizzati. Gli abiti sono in parte vestiti normali e in parte vestiti lussuosi e bellissimi. Naturalmente anche eleganti, estremamente eleganti, ma l’eleganza viene anche spezzata. Figure strane, a volte grottesche, che non si riesce a inquadrare direttamente. I colori per me sono importanti, estremamente importanti. Da un lato non ci si differenzia dalla vita normale, dall’altro però si mostra la grande ricchezza di forme e colori che da sempre è esistita. La stessa cosa vale per le musiche di vari paesi e diversi periodi. Le musiche mostrano con quanta precisione e in quanti modi diversi si possono esprimere i sentimenti. È una tale ricchezza che non si può mai finire di cercare e di imparare. Solo che anche qui si tratta di un difficile e lungo processo, per compiere la scelta definitiva e collegare la musica con quanto avvierei scena. Non posso dire da dove traggo la certezza che funzioni. Ma tra i moltissimi pezzi musicali che ascolto per ogni produzione, ce n’è uno per ogni scena che davvero sia adatto.

Animali e fiori, tutte le cose che usiamo in scena, appartengono alla nostra vita quotidiana. Ci sono ad esempio dei coccodrilli o c’è una storia d’amore bella e triste con un ippopotamo. Con tutto questo si possono raccontare delle storie, là dove non si riesce con le parole. E nello stesso tempo si può mostrare qualcosa della solitudine, della necessità, della tenerezza. Per questo non occorrono spiegazioni o allusioni. Tutto è direttamente visibile. Ogni spettatore lo può vedere con il proprio corpo e con il cuore. Questa è la cosa meravigliosa della danza: il corpo è una realtà senza la quale niente è possibile, ma oltre la quale si deve anche saper andare. Esso ci dà qualcosa di molto concreto, che ci può toccare e sentire e che ci commuove. Gli spettatori fanno sempre parte della rappresentazione quanto ne faccio parte io stessa, anche se non sono presente in scena. Ognuno è invitato a fidarsi dei propri sentimenti. Nei nostri programmi di sala non si trovano mai delle indicazioni rispetto al modo in cui vanno intesi gli spettacoli. Dobbiamo fare le nostre esperienze, come nella vita. Non ci può aiutare nessuno.

La fantastica possibilità che abbiamo in scena è che ci è permesso compiere azioni che nella vita normale non si possono e non si devono fare. Con questo cerco di capire da dove vengono certe emozioni. Le contraddizioni sono importanti. Tutto deve essere osservato, non si può escludere nulla.
Solo così possiamo intuire in che tempo viviamo. La realtà è molto più vasta di quanto siamo in grado di comprendere. Talvolta possiamo chiarire qualcosa soltanto confrontandoci con ciò che non sappiamo. E talvolta le domande che ci poniamo conducono a esperienze che sono molto più antiche, che non appartengono soltanto alla nostra cultura, al qui e ora. È come se ritornasse a noi una conoscenza che da sempre ci appartiene, ma della quale non siamo più consapevoli e contemporanei.
Ci fa ricordare qualcosa che è comune a tutti noi. Questo ci da grande forza e speranza.
Le domande non cessano mai e nemmeno la ricerca. C’è in essa qualcosa di infinito, e questa è la cosa bella. Se guardo al nostro lavoro, ho la sensazione di avere appena cominciato.
Vi ringrazio.”

Pina Bausch  1940 – 2009

Lascia un commento

Danzare l’ascolto

“La danza può rivelare tutto ciò che la musica racchiude”
Charles Baudelaire

Metodo Marìa Fux

Danzaterapia

“Danzare l’ascolto”

Seminario di sensibilizzazione musicale attraverso il corpo

Milano, sabato 26 maggio 2012

Il “filo della musica”.

La musica è l’arte combinatoria dei suoni i quali, propagandosi nell’aria, vivono, divengono e si spostano nello spazio. Il loro movimento è un eterno fluire di domande e risposte. I suoni s’inseguono, si allontanano, dialogano tra di loro per approdare ciclicamente ad una sensazione di “compiutezza e risoluzione”.

Il corpo del danzatore come il suono, vive,  si muove, e diviene nello spazio, in un continuo succedersi di stati di appagamento e ricerca di soluzioni per approdare ciclicamente ad una sensazione psico-motoria ed emozionale di “compimento e benessere”.

La musica, quando ben recepita, è in grado di modificare il corpo e il gesto del danzatore sia a livello di forma (l’aspetto esteriore del corpo – così come il suo impulso al movimento – vengono forgiati e ispirati dall’evento sonoro); sia a livello di materia (il suono attraverso la vibrazione, influenza e modifica la materia corporea nella sua struttura).

Per usare una metafora, la musica (questa combinazione di suoni) è come un tessuto la cui trama può essere colorata o no, fitta o rada, banale o interessante, complessa o immediatamente comprensibile per la sua semplicità.

La trama è un intreccio di fili che determinano la struttura del tessuto musicale; per comprendere la musica e successivamente interpretare e improvvisare (costruire il proprio tessuto unico e irripetibile), è necessario familiarizzare con l’azione di:

RICONOSCERE  E  SEPARARE  I  DIFFERENTI  FILI

A livello esecutivo il danzatore si pone quindi come lo strumentista di un’orchestra che ha una visione molto particolare del proprio “filo musicale”. A livello interpretativo invece, il danzatore si trasforma nel  direttore d’orchestra che ha un “sentito globale” dell’opera (o del brano musicale o del tessuto). E’ in grado di vedere tutti i “fili”, di riconoscerli, di separarli (ma anche introdurre delle novità/improvvisazioni) per lasciarsi influenzare e trasportare dalla musica nella sua totalità, scegliendo di seguire ed enfatizzare (accentuare) questo o quel “filo della musica”.

Solo così la gestualità del danzatore diventerà ricca, coerente, pulita, carica di presenza e di richiami perché dialogante con la musica, e soprattutto sempre diversa.

La danzaterapia di Marìa Fux si poggia in modo incisivo sulla musica e sulla sua comprensione corporea.

Non è necessario essere musicisti o strumentisti per entrare in contatto con il “filo della musica”.

Quello che possiamo fare è esporci al suono ripetutamente (esercitarsi), scegliendo musiche interessanti (riconoscimento/ricerca) e almeno al principio, essere accompagnati in questo percorso da una persona esperta capace di mediare (guida all’ascolto) e di stimolare il processo di traduzione dai suoni al movimento. L’approccio a tale tecnica deve essere a mio avviso, totalmente “fuxiano”; in altre parole un approccio privo di ripetitività e impregnato dal metodo di Marìa.

E’ indispensabile uno spiccato desiderio di comprensione e autonomia,  una disposizione a varcare la soglia di un mondo differente, la musica, così simile alla danza, dove i rapporti corpo-mente-tempo sono distorti rispetto al nostro comune sentire. Non sempre è possibile spiegarsi razionalmente tutto quello che succede.

E’ urgente ascoltare intensamente; concentrarsi, sentire, fidarsi, accettare e lasciarsi trasportare dalla musica; per perdere e ritrovare il “filo della musica” e sostenerlo attraverso la continuità del movimento.

E’ mio profondo desiderio che continuiate a cercare, e vi auguro con tutto il cuore di trovare il vostro “filo nella musica” per esprimerlo attraverso la danza.

Che questo percorso di scoperta vi porti grandi soddisfazioni, e che possiate esprimerle attraverso i vostri corpi.

Buon seminario, grazie,

Valentina Vano

Le musiche utilizzate saranno a disposizione dei partecipanti a partire da questa sera, sul sito internet:
www.vanovalentina.wordpress.com
fare click col mouse nel menù in alto sezione SEMINARI.

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339.4805.033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

Lascia un commento

A cosa pensiamo mentre stiamo danzando?

danzaterapia

Hal Eastman photography

“El juego es describir la danza mientras la hacemos. El juego de nombrar lo innombrable. Pero a la vez nunca dejamos de pensar. ¿En qué pensamos mientras bailamos? Vivimos una existencia que no se puede nombrar, sabemos de una vida física y de impermanencia. ¿Dónde se puede ANCLAR en la impermanencia? ¿Dónde puede anclar el cuerpo? ¿Y el pensamiento? ¿Dónde puede anclar la sensación y la emoción? Sólo puedo aferrarme al cambio. Y el cambio es tiempo”.

“Il gioco è descrivere la danza mentre la stiamo facendo. Il gioco è nominare l’innominabile. Ma allo stesso tempo non smettiamo mai di pensare. A cosa pensiamo mentre stiamo danzando? Viviamo un’esistenza che non si può nominare, conosciamo una vita corporea e impermanente. A cosa possiamo ANCORARCI nell’impermanenza? Dove possiamo ancorare il nostro corpo? E il pensiero? Dove possiamo ancorare le sensazioni e le emozioni? Posso solo aggrapparmi al cambiamento. E il cambiamento è il tempo”.

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339.4805.033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

Lascia un commento

Sentire il Limite

Photography by Zoe Lòpez

Un limite es una linea personal que marca esas cosas de las cuales somos responsables.
Es decir los limites definen quienes somos y quienes no somos.

Mis límites, tus límites…

A veces sucede que el límite más grande es marcado y suscrito por nosotros mismos. Algo que nos impide continuar, ver más allá y, en ocasiones, hasta articular palabra resulta un acto tortuoso.

A veces parece que nos ponemos estas barreras para poder sentir que necesitamos quitarlas… Algo que, dicho así, suena bastante absurdo, pero por lo que no pienso tirar piedra alguna, ni primera, ni segunda.

Y nos quedamos parados, tirando del nudo con una sola mano..

Photography by Zoe Lopez

Riflessioni sulla parola “limite”

a)   Definizione e Significato:

Linea di demarcazione, confine;

Estensione, segno visibile che indica una qualche barriera;

Grado, livello o punto estremo a cui può giungere qualcosa;

Punto di passaggio a una condizione diversa da quella normale;

Termine, confine, ambito (concreto o ideale) che non può o non deve essere superato;

b)   Etimologia:

Dal latino limes-limitis, – via traversa, confine, frontiera.

Gli antichi Romani chiamarono  “limiti”  quelle pietre che segnavano i confini le quali erano sacre e non potevano rimuoversi senza delitto, essendo esse sotto la speciale protezione di una divinità pur essa detta Limite o Termine;

c)   Un po’ di mitologia:

Termine – nome latino: Terminus

Divinità romana preposta ai limiti e alle pietre di confine, sia di proprietà sia di terreni pubblici, le quali venivano consacrate a Giove. Dal nome del dio deriva l’attuale vocabolo che indica gli estremi (limiti) di un oggetto o di una scadenza. – Diffusione del culto: la tradizione indica come inizio del suo culto il regno di Numa Pompilio, durante il quale si inaugurarono i confini a Giove Terminale. In suo onore venivano celebrate le feste chiamate Terminalia, cadenti il 23 febbraio; durante tali riti i proprietari dei campi si riunivano attorno al cippo di confine comune incoronandolo ed offrendo una focaccia; in seguito si ponevano su un’ara i proventi dei raccolti (segale, miele, vino) e talvolta un agnello. Nel tempio di Giove Capitolino era conservato un cippo pubblico mentre un’altra pietra sacra di confine era posta come indicatore sulla via tra Roma e Laurentum (via Laurentina). I cippi di proprietà venivano collocati in una fossa ove vi fosse stato prima acceso un fuoco e sopra versato il sangue di una vittima. Lo spargimento di frutta, incenso, vino e miele completavano il rito ctonio e la pietra infissa nel terreno veniva unta e incoronata. Terminus appartiene alla categoria di divinità italiche arcaiche senza una rappresentazione fisica.

Photography by Zoe Lopez

Il limite in danzaterapia

Il  limite è base fondante e costituente della metodologia Fux; Marìa stessa sostiene da sempre che “le sue danze sono frutto della creatività individuale  (ma che in maniera differente è nascosta anche dentro ognuno di noi), unitamente allo stimolo della musica e alla conoscenza del Limite”.
E ancora: “Quando non ci sono limiti perdiamo la meravigliosa possibilità di conoscerci più a fondo, senza limiti non esiste il contatto. Il limite è la base di tutto” 

Ma che cosa è il limite in danzaterapia?

Nuovamente Marìa ci risponde con il suo corpo, portandosi vicina, anzi, toccando la parete del suo Studio di Buenos Aires e cercando di andare oltre, di oltrepassarla. Batte ritmicamente la propria mano contro la parete…”sentite? …è dura!…non si sposta! non posso attraversarla!…questa parete è, indubitabilmente,  un limite”.

Nel corso di ogni incontro di danzaterapia, qualunque sia il tipo di stimolo proposto e l’utenza coinvolta, viene dato ampio spazio ed enorme risalto all’esperienza della sperimentazione pratica del limite affinché tale verità e sensazione diventi ben comprensibile per il corpo. Esperienza concreta significa che il limite lo dobbiamo proprio toccare fisicamente, con le mani, con le gambe, ma soprattutto  con la parte centrale del corpo senza lasciare da parte il coinvolgimento della testa.

Photography by Zoe Lopez

 La trasformazione del limite

La  parola limite racchiude dentro di sé una spiccata dualità ed esprime un paradosso; infatti, se il limite riduce drasticamente o in variabile misura la libertà di ciascuno di noi (termine, confine, ambito -concreto o ideale-  che non può o non deve essere superato), allo stesso tempo la amplifica; infondendoci sicurezza e la certezza di poterci “appoggiare”, il limite esalta la nostra creatività e curiosità innata predisponendoci a un’interessante articolazione della libertà individuale esaltandone la forma e introducendo il vissuto, fondamento del Metodo Fux, di “Superamento del Limite” (grado, livello o punto estremo a cui può giungere qualcosa).

Il limite può essere un oggetto, un volume, qualcosa di tangibile, oppure un’idea, un concetto qualcosa d’impalpabile e invisibile.

Il limite è fisso e rigido quando non lo guardiamo o lo ignoriamo ma può diventare mobile e flessibile se impariamo a conoscerlo, ad accettarlo. Solo allora, con molto coraggio e l’aiuto di un tempo che non conosce la fretta, si può forse spostare, sempre trasformare .

Il limite preferisce sempre il tempo lento, molto dilatato; quando la fretta diventa un limite bisogna andare a toccare la propria fretta e solo molto dopo cercare di spostarla verso altre possibilità.

Perché il limite si riveli nel corpo è sempre meglio affrontare prima il limite che-posso-toccare, riporto qui di seguito solo alcuni esempi:

–          Limite della parete

–          Limite della terra

–          Limite di un materiale (ad es. il colore, la canna di bambù)

–          Limite della pelle

–          Limite luce/ombra

–          Il corpo del compagno è un Limite

–          Ecc.ecc.

Invece il limite impalpabile/invisibile può essere:

–          Il limite dello spazio (o dell’aria)

–          Lo sguardo

–          Il respiro

–          Il freddo/il caldo (la temperatura)

–          Un odore

–          Una convinzione, un’idea

–          Il tempo che passa (gli anni, i giorni)

–          Ecc.ecc.

Il limite dello spazio (o dell’aria) è fondamentale perché ha a che vedere con la proiezione del proprio corpo nello spazio e quindi con l’apertura medesima del corpo.

E’ importante ricordare che l’alfabeto del movimento corporeo si basa su due semplici azioni antitetiche apertura/chiusura, e tutte le infinite, successive variazioni.

Ma il limite dello spazio è molto più di una semplice apertura, ha a che vedere con l’estensione che è la misura massima, sempre variabile di momento in momento, del nostro corpo che si proietta nello spazio lontano, quello spazio che vive fuori-di-noi.

Ricordiamo che non solamente le nostre braccia o le nostre gambe possono ricercare ed entrare in contatto con questo limite, ma ogni parte del corpo deve poter entrare in contatto con il limite dello spazio, solo così può formarsi un’unità corporea ben rappresentata con una mappatura puntuale ed efficace dei limiti personali.

Infine, questo limite ha a che vedere con la proprietà del corpo di terminare i movimenti o portare i movimenti al loro termine.

Il movimento termina quando entra in contatto con il limite dello spazio, e solo allora. Terminare il movimento prima darebbe origine a movimenti vuoti e privi di significato, difficilmente imitabili da qualcuno che ci osserva.

Ricordiamo che quando il corpo ha toccato il limite dello spazio, deve compiere un percorso di ritorno di riavvicinamento al limite-del-proprio-corpo, riavvicinamento lento e qualitativamente intenso anche e soprattutto nella fase di ritorno.

Photography by Zoe Lopez

Perché la creatività nasce dal limite?

Il limite è  la più grande risorsa del corpo; noi stiamo bene quando sentiamo la necessità di celebrare e valorizzare il nostro limite personale, il limite che ci è toccato; dovremmo anche provare piacere a mostrarlo agli altri.

E’ un cammino generoso per arrivare al movimento vero, all’improvvisazione.

Rifiutare culturalmente l’idea di essere creature tanto limitate può essere una barriera. Senza riconoscere e accettare i propri limiti difficilmente potremo toccarli, entrare in contatto con loro, accarezzarli.
Queste azioni pratiche, con il trascorrere del tempo (che è l’ultimo dei limiti, quello più difficile da superare), sono preludio a quel processo di trasformazione capace di mostrarci il limite sotto un altro punto di vista e da un lato magari più costruttivo.
Dare respiro al limite, dialogare con lui, svincolarlo dal suo senso d’immobilità, ci permette di superare le paure per dare radice alle nostre creazioni in movimento.
Il limite ci colloca nella vita, ci mostra il nostro posto, e noi per questo possiamo soltanto ringraziarlo.

La creatività nasce dal limite.

Testo di Valentina Vano

www.metodomariafux.com

Photography by Zoe Lopez

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339.4805.033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in Arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

Lascia un commento

Corpo: Emergenza ed Immaginario

Amore e Psiche. Omaggio a Canova. Opera pittorica di Graziano Bassan

Amore e Psiche. Omaggio a Canova. Opera pittorica di Graziano Bassan

Jacques Lecoq e il Teatro del Gesto

Lavorare perchè il corpo agisca al limite delle sue possibilità tra emergenza ed immaginario

Fondatore della “Scuola Internazionale di Teatro Jacques Lecoq” a Parigi, quest’ ultimo fu un artista, un creatore, un ricercatore; un uomo che, da più di mezzo secolo, ha lavorato fuori da ogni moda e da ogni compromesso. E’ oggi un maestro incontestato nel campo della pedagogia teatrale. Propone lo sguardo di un uomo di precisione, ma anche quello di un poeta per il quale ogni certezza ha una parte d’instabilità e di dubbio. Trasmette l’esperienza vivente di un artista che ha cercato di scoprire nelle leggi universali del movimento, dello spazio, del gioco e della forma, i mezzi necessari al creatore per trasporre la realtà in un linguaggio personale.

Numerosi artisti e compagnie rivendicano oggi di far parte della sua scuola e si appoggiano sul suo insegnamento. Tuttavia, si può constatare che dei frammenti del suo lavoro vengono spesso usati fuori dal loro contesto diventando così un metodo in più di “training di attore”. Sarebbe dimenticare che il senso profondo di questa pedagogia della creazione fosse direttamente legato al percorso che essa propone nella durata e all’impegno che richiede quanto all’artista che all’essere umano. Si tratta di una pedagogia che nasce dalla vita stessa e che dà una possibilità al teatro di rimanere vivente lontano dai modelli o dalle tecniche sclerosi.

Prendendo il movimento ed il gesto come base di lavoro e come ancoraggio essenziale nella formazione dell’attore, essa propone tuttavia un apprendimento del mestiere di attore (e di essere umano) di pieno diritto e la ridefinizione di un mimo drammatico che tocca al ritmo stesso del vivente e che precede la parola: percepire le leggi che organizzano la vita, da dove nascono le leggi di gioco del teatro, a partire da un’osservazione della vita quotidiana e della natura.

E’ per il nostro corpo, che prendiamo a conoscenza del mondo che ci circonda, mimandolo. Della riproposta del gioco alla mimodinamica e alla geodrammatica, l’originalità di questa pratica risiede in questa scoperta dal corpo ” che mima ” degli ancoraggi profondi del gesto e delle azioni umane. Risalendo nei grandi territori drammatici (Tragedia antica, Commedia dell’arte, pantomima, melodramma…), Lecoq va in cerca di quello che si recita di essenziale nell’essere umano. Ogni alunno ed artista, che fa la scommessa di questo impegno, naviga a proprio “rischio e sorpresa” e forgia la sua personalità di creatore.

“Il teatro e la creazione sono affari di esperienza vissuta, di trasmissione orale e di durata. Non è facile dire con delle parole ciò che l’esperienza fa toccare con mano in modo vivente”

“Insegnare, è aiutare il gioco a svilupparsi, dal ripetersi del gioco della vita al più vicino della sua espressione, fino ad altri giochi tendendo alla creazione, verso una trasposizione, una trascendenza, che fa vivere l’invisibile delle cose e degli esseri, e fa entrare il teatro in poesia”

“Insegnare, è aiutare l’altro a svilupparsi essendo sufficientemente disponibile fisicamente e mentalmente, per lasciargli aprire il suo spazio”.

 

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339 4805 033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Risposte da Milano; come trasformare i “non posso” in Arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

Lascia un commento

L’Improvvisazione in danzaterapia

DANZATERAPIA_IMPROVVISAZIONE_MARIA-FUX
 
Improvvisazione non significa “essere improvvidi”, cioè impreparati, ma vuole dire usare con prontezza la propria creatività: c’è qualcosa da fare che non ci si aspettava di fare e perciò bisogna trovare soluzioni estemporanee.
Improvvisazione è agilità di sguardo, per sentire quando è il momento di cambiare idea o di fermarsi quando le possibilità di cambiamento non ci sono o sono fasulle.
La non accettazione del possibile errore – intrinseco in ogni azione umana – così come l’eccesso di razionalità (che concorre al rallentamento dell’intuizione e blocca la tempestività) possono atrofizzare il processo creativo e quindi ostacolare l’improvvisazione. 
 
Valentina Vano_danzaterapia_metodo Maria Fux_Milano

SOLO COSTRUENDO SOLIDE STRUTTURE DI MOVIMENTO SI PUO’ ANDARE INCONTRO ALLA LIBERTA’ DI ELUDERLE

“L’improvvisazione è un’arma a doppio taglio, che lusinga con il suo aspetto creativo, attrae con la sua fugacità e seduce con il suo aspetto liberatorio. Sceglierla non deve essere una via di comodo. Si è tentati, in effetti, di improvvisare su una musica, di lasciarsi andare a grandi eccessi lirici, di creare un romanzo fiume. Ma non è interessante fermarsi a questo perchè ben presto ci si trova di fronte a dei limiti, se non altro di ordine tecnico. L’improvvisazione vocale, musicale e corporea si studia e si apprende; deve essere sfumata ed equilibrata, presentare una forma ed uno stile. Perché abbia valore pedagogico bisogna capire chiaramente perchè e come utilizzarla, essere quindi in grado di farne una critica (su tutti i piani: spaziale, tecnico, ritmico…) affinché a poco a poco l’allievo prenda coscienza della sua maniera di esprimersi. Prima di tutto bisogna dare all’improvvisazione un supporto preciso e limitato; questo secondo requisito mi sembra importantissimo. Effettivamente più i mezzi dell’allievo sono limitati, più lui fa fatica a limitarsi, ma poi ben presto si rende conto che la libertà desiderata è dura da assumere; l’allievo esperto accetta facilmente la situazione perchè é in grado di estrarne tutte le ricchezze, e prova gioia nel vedere le sue possibilità espandersi all’infinito. Così concepita, l’improvvisazione è costruttiva. Struttura la mente, sviluppa l’immaginazione, la prontezza di spirito, la spontaneità e la personalità”.

(Testo: Suzanne Martinet, La Musique du Corps, 1990 Editions du Signal Lausanne)

Pubblicato da:

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339 4805 033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in Arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

 
Lascia un commento

La fiducia vive nel limite

TERRITORIO FUX:
INCONTRI CON PERSONE STRAORDINARIE
A Graciela di Buenos Aires, impiegata di banca, attrice, tessitrice, danzatrice.

Posso arrivare ad abbracciare questo paradosso?
“Il limite mi aiuta, è ciò che è già stato fatto; la fiducia mi proietta nel Metodo, che è costituito da  cose mai fatte…”

La fiducia è quell’atteggiamento, verso se stessi o verso altri, risultato di una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità.

In danzaterapia la fiducia è come un tessuto, la cui trama affiora solo dopo una lunga attesa intrecciata in termini di tempo ed errori, di sforzi e di volontà; di pazienza; si traduce anche e soprattutto nel piacere di “fare e di disfare”, di sciogliere nodi o includerli, così come sono, nel disegno. Quale apparirà il paesaggio finale? Non si sa!

Fisicamente si potrebbe tradurre la fiducia come:
– apparente sospensione del movimento: un respiro in cui il tempo e lo spazio si perdono;
– lucida certezza di poter sentire e misurare il peso della propria massa, corporea e non;
– posare il corpo nella quiete dell’appoggio (vuol dire lasciar fluire il peso del proprio corpo su un appoggio, sia esso la terra, un limite o il corpo dell’altro;
– ricevere, allo stesso modo, il peso dell’altro mantenendo un acuto stato di veglia, ma con calma e benessere, senza abbandonarsi, senza trattenersi, senza accelerare);
– saper scegliere da cosa lasciarsi influenzare ammortizzando perturbazioni, intercettando istintivamente “ciò che accade” prima “che ciò accada”.

Nelle varie situazioni il corpo non è mai uno strumento per esprimere sentimenti, idee o stati d’animo ma è semplicemente “l’espressione lucida di sé stesso e di quanto pesi”.

E’ il corpo colui che pone le condizioni, sceglie e definisce le possibilità, disegna i limiti. Decide se e quando appoggiarsi. Opta.

La fiducia è uno stato naturale dell’essere umano anche relazionata con la velocità nella quale i cambiamenti si succedono nella vita, dove spesso nulla avviene lentamente ma più esattamente tutto accade compulsivamente; la fiducia non può essere un processo compresso. Dove il pensiero non basta, perché troppo rapido, lì arriva il corpo…realtà della vita così come la conosciamo, spesso disorientato e immobilizzato da un tempo alieno e finto che solo la fiducia può smascherare.

Il danzaterapista deve tentare di propiziare la nascita della fiducia, nella sua forma più pura, dentro se stesso…successivamente, per ciò che concerne il corpo dell’altro  potrà cercare di non inciampare nel vizio delle interpretazioni intellettuali.

In danzaterapia il corpo si espande, i contorni della realtà corporea spesso si dilatano, la fiducia rende possibile vedere l’invisibile e ripristina una visione della realtà adeguata al peso del corpo e dello spazio, in relazione alla comprensione di ciò che avviene dentro e attorno.

Il processo di fiducia comincia lontano dal corpo e dai propri desideri, gli impulsi arrivano dal di fuori e si muovono in direzione verso il dentro. La qualità della sensazione di fiducia si infiltra lentamente sotto la pelle, s’impossessa del corpo e sfida la razionalità. Il soggetto si consegna come essere sociale e culturale alle forze della natura. La fiducia diventa immagine che nasce dal corpo.

 La danza è tagliata come pietra dall’acqua del mare.

Il lavoro con il corpo rappresenta anche la lotta contro le abitudini, abitudini spesso di non-fiducia.

Il danzaterapista gestirà il processo di costruzione della fiducia adottando immagini poetiche piuttosto che mediante dissertazioni razionali, il corpo deve muoversi concretamente e mai rimanere statico, né diventare un corpo sognante.

La pazienza, il coraggio e la resistenza sono costantemente messe a dura prova.

Il corpo si trasforma in materiale vivente dalle diverse forme e densità.

 Se sparisce il contorno tra forma e non-forma, corpo e spazio, vuole dire che l’idea iniziale è stata finalmente incorporata.

La forma è continuamente soffocata per dar luogo a una non-forma originando un processo dinamico circolare. Il corpo si trasforma continuamente per poi rinascere in forme nuove. Il principio che “tutto cambia” è accettato ed il corpo deve essere in simbiosi con le trasformazioni per sfidare continuamente la tendenza alla staticità. Quando questo principio è vivo, non ci sono più i vuoti e tutto è parte del processo di fiducia. Il corpo, il tempo e lo spazio vivono. La sfida perpetua e la sorpresa devono essere parte quotidiana del sentire dell’artista danzaterapista.

Tutte le parti dell’incontro con il gruppo si nutrono dell’improvvisazione. Solo con una meticolosa preparazione si possono affrontare e gestire i momenti dell’incertezza, che nessuno può controllare.

Applicando Fux il danzaterapista ha ben poche occasioni di ripetere lo stesso incontro e neanche cerca o riesce a farlo. Quandanche le lezioni si ripetessero, la situazione, il tempo, le persone, il luogo sarebbero nuovi e ciò determina sempre scenari inaspettati.

L’incontro con il gruppo è la parte del processo di creazione che mette in gioco tutto.

La danzaterapia ha come prima finalità quella di comunicare, commuovere, confrontare e costruire fiducia in tutti gli aspetti della vita. La danzaterapia non ha padroni e ha poco rispetto per le convenzioni. “Fa ed è”.

In fondo aver fiducia oggi è un’attività sovversiva.

Al riappropriarsi del corpo ritorna anche il potere nell’individuo. In questo modo si sfidano molte strutture d’abitudine. La convivenza del proprio corpo con altri corpi e, in relazione ad altri esseri umani, crea i valori base per lo sviluppo della fiducia: rispetto e responsabilità.

Ringrazio Graciela, il cui corpo comprende bene tutto questo. Dal sorriso dei suoi lunghi anni mi ha mostrato che con la continuità si può ritrovare la fiducia che dà conforto e sollievo, la fiducia che dà visione…per appoggiarsi all’altro senza fargli male.

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339 4805 033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in Arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia

Lascia un commento

Il viaggio

 

Tutto ha a che vedere con tutto

Sembra davvero complesso padroneggiare il metodo di Marìa Fux e conoscerlo così in profondità da poter abbracciare simultaneamente musiche, immagini, consegne, limiti. Ammortizzare senza impaccio imprevisti di ogni natura,  capitalizzare, interagendo rapidamente in un “mare” troppo burrascoso o a volte sorprendentemente piatto, attraversato da correnti sconosciute e da sguardi di occhi che parlano, domandano, che con la loro assenza chiedono.
Venti che soffiano o non soffiano in direzioni sempre inattese.
Ogni gruppo è differente dall’altro; un corpo sensibile assolutamente a sé stante.
Neanche il tempo si assomiglia.
Spesso, quello che avevamo pensato e preparato così accuratamente, non risulta più essere così veritiero;  il momento prima non è mai uguale a quello dopo.
Bisogna essere pronti a prendere decisioni rapide e disposti a cambiarle altrettanto velocemente, non c’è tempo per stare a pensare, la mente è troppo lenta, obsoleta, mentre si propone “devo rimanere nel metodo”…miope ingranaggio che si domanda “sono ancora nel metodo?”.

Chi guida chi? L’INTUITO.
Per fortuna che c’è il corpo. 

Il gruppo è un grande singolo corpo che, dopo essere stato convinto e accompagnato (da un altro corpo) a intraprendere un viaggio di incantamento, costellato da incontri piacevoli (o meno), deve essere dolcemente ricondotto a casa.
L’allegria è sempre un buon cammino.
Ogni piccolo grande problema risolto è un passo di avvicinamento a “ciò che si conosce o si conosceva”, i silenzi sono spazi di respiro per poter riprendere fiato, ritrovare lucidità corporea, poter riaffermare la propria presenza, ricominciare; solo alimentando lo stato di costante allerta rispetto a se stessi e al gruppo si possono risolvere problemi e soprattutto dare le risposte a quegli occhi, talvolta smarriti,  dagli sguardi che chiedono.

Giunti al termine del “viaggio”, conduttore e “condotti” (anche se da punti di vista differenti) devono aver maturato la certezza di essere riusciti nell’impresa grazie al ricco potenziale del gruppo unito che, con la danza, ha condiviso la fiducia nella possibilità di cambiamento. Il gruppo è sempre un fattore esponenziale.
Il corpo deve “portarsi a casa” la sensazione nitida di stare meglio di quando era partito, solamente un’ora fa.
Gli sguardi devono essere cambiati e ora mostrare una disposizione all’allegria ; le labbra sono meno serrate.

Nell’incontro con il gruppo è necessario dapprima registrare con il corpo il clima generale (dato dalla somma dei vari elementi propri di quel preciso momento) per permettere alle persone di sondare cosa stia succedendo, facilitarne il riconoscimento, dare tempo e/o andare al contrasto (oppure no).
E’ utile ascoltare le caratteristiche particolari dell’istante in cui ogni stimolo verrà applicato. “Pulire” le transizioni tra uno stimolo e l’altro.
Se per esempio ci sono momenti in cui il conflitto diventa preponderante, quest’ultimo può rappresentare un ostacolo da cui allontanarsi o al contrario può valere la pena avvicinarsi e andare a vedere cosa si nasconde veramente dietro l’apparizione improvvisa di questo personaggio, che messaggio vuole rivelare.
D’altra parte nel contesto dell’incontro con il gruppo si presentano spazi visivi brevi ma intensi, dove solo l’esperienza suggerisce la pianificazione e la valutazione della mossa successiva. Squarci di sereno.
I partecipanti riceveranno consegne ben precise e per il conduttore è vitale riconoscere il clima che muta per proporre lo stimolo più adeguato.

Tutto ha a che vedere con tutto.

Valentina Vano
Danzaterapista, Milano, MI, Italy
w: www.metodomariafux.com | @: danzaterapia@ymail.com|
t: (+39) 339 4805 033

ARTICOLI PUBBLICATI:

Cosa è la danzaterapia? Domande e risposte sul metodo Fux

Crescere con la danza creativa; il metodo Fux per i più piccini

Posso danzare a qualsiasi età? Il metodo Fux per i più grandi

Il corpo che parla: danzaterapia e disabilità

Progetto “Integrazione con l’Arte”; la danza che unisce le diversità

Marìa Fux e Isadora Duncan: dialogo tra due cammini

Marìa Fux incanta Milano; come trasformare i “non posso” in Arte

Parole in movimento; racconti di danzaterapia